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“Io sono venuto nel mondo come luce”. Il ruolo della luce nello spazio liturgico

Mons. Paolo Cabano

Nella liturgia cristiana il ruolo della luce è di fondamentale importanza in quanto riflesso della vita pasquale della comunità; pertanto il suo uso nella liturgia è un modo per capire la qualità con cui una comunità vive e testimonia l’evento luminoso per eccellenza: la resurrezione del Signore.
Si potrebbe dire che la luce è esperienza della Pasqua in quanto esprime, in modo sensibile, l’intensità di questo evento che fonda la fede cristiana e, al tempo stesso, annuncia che la vita è già redenta dal Signore. Pertanto, la luce riflette la condizione del discepolo di Gesù, illuminato dalla grazia della fede pasquale.

Una sapiente illuminazione della chiesa non deve abbandonarsi e ridursi a una dispersiva illuminazione d’ambiente, ma deve entrare in questa dinamica pasquale di cui l’assemblea si rende protagonista, per cui deve tener conto da un lato che il tempio vivo è la chiesa intesa come corpo spirituale e, conseguentemente, la luce deve riflettersi sull’assemblea con le sue modulazioni e le sue penombre e non essere puramente finalizzata alla visibilità dell’ambiente e al servizio della lettura; neppure dovrà essere una luce piena che disorienta e disperde.

È una assemblea, quella cristiana, che deve essere illuminata con la sapienza della penombra. Tuttavia, se una luce deve prevalere, se deve esserci un punto focale, quello è senz’altro l’altare, che nella liturgia è la forma eccellente della presenza.

La luce più intensa deve perciò focalizzarsi su di esso come luogo in cui si rende presente Cristo Signore.
L’altare ha quindi bisogno di una luce piena poiché è il punto in cui l’immagine cristiana di Dio, nel suo sacrificio pasquale, si fa attuale nell’oggi della liturgia, conseguentemente la sua luce deve attirare gli sguardi e l’attenzione dell’assemblea.

Design: Michelangela Ballan PDDM – Chiesa S. Francesco Saverlo – Copreno (CO)

Altro luogo della presenza del signore è l’ambone; qui si fa presente la luce della Parola divina. Tuttavia, proprio per mettere in risalto la potenza di questa Parola, la luce sull’ambone dovrebbe lasciare sufficiente spazio alla penombra così da attirare l’attenzione non sul volto del lettore, ma sulla forza della voce che proclama la parola di Dio.

Come si può vedere da questi esempi illuminare la liturgia cristiana e, quindi, la chiesa – edificio, chiama in causa la fede nel Risorto e il destino ultimo della nostra vita. Si tratta di una luce che riflette quella del Risorto, segno della nuova creazione, di quella creatura nuova che l’uomo è chiamato a diventare una volta illuminato dalla grazia divina.

È proprio questa vita rinnovata in Cristo che, di riflesso, ha determinato la costruzione delle chiese come segno di questa novità di vita. Questa teologia della luce si è così trasformata nei secoli in architettura, legandosi all’invenzione della vetrata, con lo scopo di avvolgere la creazione della luce di un rinnovato stupore, lasciando percepire nelle forme illuminate da essa la promessa di un compimento definitivo.

Purtroppo, la modernità ha messo la luce solo al servizio della visibilità delle forme; occorre pertanto imparare che la sapienza della luce nelle chiese non è una questione coreografica e neppure in funzione di ottimizzazione delle funzioni ma bisogna recuperare l’incanto della luce, come aiuto a vivere l’esperienza della grazia.

Sarà perciò necessario concentrarsi sull’essenziale, e qui il buon uso della luce può essere davvero determinante.

Mons. Paolo Cabano, presbitero della diocesi della Spezia – Sarzana – Brugnato, sacerdote dal 1988, è direttore dell’Ufficio liturgico diocesano, docente all’Istituto superiore di scienze religiose “Niccolò V” della Spezia, direttore dell’archivio storico diocesano e della Biblioteca Niccolò V . E’ inoltre Parroco di S. Stefano di Magra e canonico della Concattedrale di S. Maria assunta a Sarzana.

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