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Destinazione del patrimonio mobile proveniente da chiese dismesse


Un edificio di culto può essere dismesso per essere destinato ad usi non sacri ma profani, la qual cosa determina l’incompatibilità della permanenza degli arredi sacri nell’edificio, rendendo necessaria l’asportazione del patrimonio mobile (suppellettili, paramenti, arredi). Diventa interessante che il progetto per un nuovo edificio di culto possa tenere conto della possibilità di riutilizzare il patrimonio mobile non solo da chiese dismesse, ma anche da contesti museali

Ottavio Bucarelli, Pro-Direttore del Dipartimento di Beni Culturali, presso la Facoltà di Storia e Beni Culturali della Chiesa della Pontificia Università Gregoriana, dove è anche docente incaricato associato di Archeologia ed Epigrafia Cristiana.

«L’arte cristiana, “bene culturale” quanto mai significativo, continua a rendere un suo singolare servizio comunicando con straordinaria efficacia, attraverso la bellezza delle forme sensibili, la storia dell’alleanza tra Dio e l’uomo e la ricchezza del messaggio rivelato.

Nei due millenni dell’era cristiana, essa è stata lo stupendo manifesto dell’ardore di tanti confessori della fede, ha espresso la consapevolezza della presenza di Dio tra i credenti, ha sostenuto la lode che da ogni angolo della terra la Chiesa innalza al suo Signore.

I beni culturali si rivelano documenti qualificati dei vari momenti di questa grande storia spirituale»[1] . Tali beni culturali, in virtù del loro valore, costituito dal rendere presente attraverso le forme sensibili la bellezza che è in Dio e dall’essere medium della manifestazione del rapporto tra Dio e gli uomini, devono essere sempre preservati da situazioni e rischi affinché non perdano le proprie finalità d’uso a servizio della missione della Chiesa: culto, catechesi, carità, cultura.

Calice di Niccolò IV (Guccio di Mannaia, 1291-1318) Assisi, Tesoro della basilica di S. Francesco (da Assisi non più Assisi. Il tesoro della basilica di San Francesco, Milano 1999, pp. 154-5)

Uno di questi rischi, che investe principalmente l’edificio di culto, inteso come architettura, contenitore e luogo del sacro, e conseguentemente il suo patrimonio mobile storico-artistico connesso con il contesto cultuale, è la dismissione degli edifici di culto.

Un edificio di culto può essere dismesso per essere destinato ad usi non sacri ma profani, la qual cosa determina l’incompatibilità della permanenza degli arredi sacri nell’edificio, rendendo necessaria l’asportazione del patrimonio mobile (suppellettili, paramenti, arredi).

Si impone quindi una riflessione sulla destinazione del patrimonio mobile proveniente da un edificio di culto dismesso, affinché non venga disperso e non perda il suo uso, nella consapevolezza che la Chiesa è un organismo vivo e che le sue testimonianze materiali non sono «reperti di civiltà estinte»[2].

A questo proposito, una lettera circolare emanata dalla Congregazione per il Clero indica: «Prima dell’alienazione, tutti gli oggetti sacri, le reliquie, gli arredi sacri, le vetrate, le campane, i confessionali, gli altari, ecc., devono essere rimossi per l’uso in altri edifici sacri o per essere custoditi in custodia ecclesiastica. Poiché gli altari non possono mai essere trasformati in uso profano, se non possono essere rimossi, devono essere distrutti (cfr. canoni 1212 e 1238)»[3].

Reliquiario, XV secolo, Argento dorato, h. 29,1 cm Cracovia, Basilica della S. Vergine Maria (da Libri di pietra, p. 156)

Si ritiene così auspicabile, fatti salvi i casi di manufatti dalla fragile conservazione, che il patrimonio mobile trovi una continuità d’uso e di vita nella collocazione in uno o più edifici di culto normalmente officiati.

Infatti, «la ‘forma’ di un’opera d’arte sacra trova perfezione in misura dell’integrazione con l’intero complesso cultuale e in forza del conveniente uso celebrativo[4]».

Il patrimonio mobile ecclesiastico destinato al culto, alla catechesi e alla carità dovrebbe essere sottoposto ad un vincolo funzionale garantito e fatto rispettare dalla Autorità ecclesiastica, la quale non deve limitarsi quindi solo alla catalogazione e alla conservazione, ma deve evitare in ogni modo la possibile ed eventuale alienazione del patrimonio mobile.

Candelabro pasquale
Roma. Basilica papale di S. Paolo fuori le mura. Fine XII – inizi XIII secolo
Scultori: Nicola d’Angelo e Pietro Vassalletto

L’Autorità ecclesiastica si deve confrontare con la normativa civile che tutela i beni culturali, anche quei beni degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che prevede la verifica di interesse culturale prima dell’alienazione, come previsto in Italia dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio[5].

La scelta sulla destinazione del patrimonio mobile dismesso sarà dettata in primis dalla possibilità di arricchire chiese, che presentino una continuità territoriale o un legame storico con la chiesa ‘donatrice’.

In secondo luogo, si provvederà ad implementare il patrimonio di altre chiese, anche di nuova fondazione. In questo ultimo caso, sarà interessante che il progetto per un nuovo edificio di culto tenga conto della possibilità di riutilizzare il patrimonio mobile non solo da chiese dismesse, ma anche da contesti museali.

Ciborio
Rame dorato h. 36,8 cm
XIV secolo, fine
St. Florian, collezioni dell’abbazia (da Mysterium, pp. 244-5, n. 61)

Prima del trasferimento di tutti i beni mobili, sebbene si possa ritenere che ormai il processo di inventariazione dei beni culturali ecclesiastici sia in fase molto avanzata o completata in molte diocesi [6], si proceda alla verifica della loro schedatura, affinché nulla vada disperso, durante la fase di trasloco.

Nella Lettera circolare della Congregazione per il Clero, si parla della alternativa della “custodia ecclesiastica”.

Anche se non esplicitamente dichiarato, si deve pensare alla conservazione presso un museo ecclesiastico[7], quindi alla musealizzazione del patrimonio mobile proveniente dalle chiese dismesse.

Se da un lato la musealizzazione, «assolve alla salvaguardia materiale, ne compromette [però] l’autenticità formale, in quanto i manufatti vengono isolati dall’habitat, impedendone il divenire in conformità dell’uso stesso che, nella destinazione rituale, è in ordine allo sviluppo della liturgia, della conservazione della tradizione, all’evoluzione del gusto»[8].

Pisside
Manifattura limosina
Pisside ornata con smalti di Limoges
Rame dorato e smaltato a incavo h. 10 cm diam. 6,4 cm
XIII secolo
Città del Vaticano, Musei Vaticani
(da Mysterium, p. 238, n. 57)

Infine, si tenga presente che, dopo l’alienazione o la demolizione dell’edificio di culto, l’unica memoria per la comunità ecclesiale privata della propria chiesa (nel caso ci sia ancora una comunità), e per la Chiesa stessa in quanto Istituzione che deve poter ricostruire la propria storia, sarà il patrimonio mobile costituito dai vasi sacri, le statue devozionali, le pale d’altare, gli archivi, etc, reliquie di una realtà mutata, cambiata, o perduta per sempre.

I misteri celebrati, la catechesi e le devozioni quindi saranno occasione per ricordare la nascita di antiche comunità cristiane, utilizzando manufatti che continueranno a ‘vivere’ in diverso luogo o in diverso modo, ritrovando quella funzione per cui erano stati generati.

Tabernacolo. Sénanque, chiesa abbaziale. Legno policromo, XIII-XIV secolo (da EAM, XI, p. 55)

  1. Giovanni Paolo II, Plenaria 2000, 31 Marzo 2000, in Enchiridion dei beni culturali della Chiesa, Bologna 2002, p. 595, n. 1170.
  2. PCBCC, Lettera circolare sulla funzione pastorale dei musei ecclesiastici, in Enchiridion dei beni culturali della Chiesa, Bologna 2002, p. 501, n. 965.
  3. Congregation for the Clergy, Circular letter on the modifications of parishes and the relegation of church buildings to profane but not sordid use, 30 April 2013. Su l’Alienazione, e la Rimozione e spostamento dei beni culturali ecclesiastici, soggetti alla verifica della autorità ecclesiastica e civile, si vedano anche le indicazioni ai punti 29 e 30 de I Beni Culturali della Chiesa in Italia. Orientamenti, in Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana, 9 (1992), pp. 328-329.
  4. C. CHENIS, I beni culturali della Chiesa a rischio. Problemi e criteri per una salvaguardia polivalente, in Tutelare il bello, Firenze 2007 (Estetiche del sacro, 2), p. 32.
  5. A questo proposito si veda da ultimo la messa a punto in D. DIMODUGNO, Il riuso degli edifici di culto: profili problematici tra diritto canonico, civile e amministrativo, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, 23 (2017), pp. 17-18: «Sarà dunque necessario ottenere, se si tratta di beni aventi valore culturale, l’autorizzazione ministeriale, in forza sia dell’art. 21, primo comma, lett. a), per ciò che concerne la loro rimozione o demolizione, che dell’art. 49, riguardante il divieto di disporre ed eseguire, senza l’autorizzazione del soprintendente, “il distacco di affreschi, stemmi, graffiti, lapidi, iscrizioni, tabernacoli e altri elementi decorativi di edifici, esposti o non alla pubblica vista”. Comunque, prima di procedere all’alienazione di una chiesa dismessa, sarà necessaria la verifica dell’interesse culturale di cui all’art. 12 del co-dice dei beni culturali, che, se avrà esito negativo, farà venire meno la presunzione di “culturalità”».
  6. V. PENNASSO, Il valore del patrimonio storico-artistico e le attività di conoscenza e conservazione delle diocesi nelle situazioni di emergenza, in Ricomporre l’identità. Terremoto, Città e Beni Culturali della Chiesa, a cura di O. BUCARELLI, Roma 2018, p. 65.
  7. Ma anche la casa parrocchiale o il palazzo vescovile, cfr. I Beni Culturali della Chiesa in Italia. Orientamenti cit., n. 30, p. 329.
  8. C. CHENIS, I beni culturali della Chiesa a rischio. Problemi e criteri per una salvaguardia polivalente, in Tutelare il bello, Firenze 2007 (Estetiche del sacro, 2), p. 32.
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