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Architettura e arti per la liturgia

Stefano Visintin OSB

I rapporti tra Chiesa e architettura ieri

In tutta la sua storia, e fino al Concilio Vaticano II, la Chiesa non ha mai prodotto una trattazione generale sulle arti, se si eccettua il Concilio Niceno II dove, però, è stato il problema centrale dell’iconoclastia ad obbligare di fatto la tematica iconografica, e quindi artistica.

E mai la Chiesa s’è occupata direttamente di architettura, anche in questo caso con l’eccezione del Concilio di Trento che, con Carlo Borromeo, per la prima volta in assoluto (quindi sia in Oriente che in Occidente) ha prodotto una disamina in due parti: la “fabbrica” della chiesa e le sue decorazioni.

I progettisti hanno così potuto usufruire di un’assoluta libertà stilistica, e solo stilistica, fondata sulla consapevolezza di architettura e arti intese come due anime dello stesso corpo progettuale.

L’ambivalenza odierna tra architettura e arti

E’ un discorso che oggi si pone senz’altro diversamente, al punto da creare un’evidente ambivalenza. Da un lato, la corrente di pensiero secondo cui l’architettura e le arti vadano ben distinte, poiché l’architettura contiene una sostanziosa componente scientifica che non appartiene alle altre arti (l’architettura è indispensabile alla vita dell’uomo, le arti no). Dall’altro lato la convinzione che sia più logico parlare solo di arti, alle quali quindi appartiene anche l’architettura; ed è quanto esprime lo stesso Sacrosanctum Concilium in SC 7.

L’interrogativo si risolve con la massima chiarezza possibile proprio nel progetto di chiesa, non per niente ritenuto il più complesso e il più completo che un progettista possa affrontare. In perfetta aderenza a SC 7, l’architettura e le arti si confermano costruttori distinti ma inseparabili poiché, a differenza di qualsiasi altro edificio, una chiesa realizzata dalla sola architettura o dalle sole arti non sarebbe mai una chiesa.

PER LA LITURGIA

L’architettura e le arti sono dunque strumentazioni che, in strettissima cooperazione, devono permettere al progetto di rispondere esattamente a ciò che gli viene chiesto. Se il committente chiede una scuola, il progettista non può proporre un ospedale; per quanto i due edifici possano apparire simili. Se il committente chiede la ristrutturazione di un negozio, il progettista non può proporre l’arredo di una palestra. Se il committente chiede una chiesa, il progettista non può proporre un palazzetto dello sport.

Ed ecco che, in tema cultuale, quel “per” diventa determinante; è “per la liturgia” che l’architettura e le arti costruiscono l’edificio, non per altro. Un “per” che qui assume perlomeno quattro significati assolutamente inscindibili fra loro.

I quattro significati di “per”

Il primo è anche il più elementare, poiché è un “per” di tipo finale, che ci dice “allo scopo di”,”al fine di”. Conseguentemente, potremmo senz’altro parlare di: “Architettura e arti in funzione della liturgia” (finalizzata alla liturgia). E’ però un significato che preso da solo ci porterebbe dritti al funzionalismo, cioè a quella “macchina” preparata per rispondere unicamente alla funzionalità.

Del resto, è innegabile che ci siano manufatti progettati esclusivamente “in funzione di”. Un bicchiere (ad esempio) assolve solo alla funzione di contenere acqua da bere, senza alcun altro significato particolare. Progettare, però, significa “pro – iectare”, cioè “lanciare/gettare in avanti” che nel progetto architettonico è da intendere come l’avere uno sguardo aperto sul futuro, ma se il bicchiere (funzionale) viene “lanciato in avanti” cade a terra e si rompe; da quel momento in poi non servirà più a niente.

Dunque, la funzione è necessaria, poiché il bere è una primaria necessità biologica dell’uomo, ma affidarsi al solo funzionalismo può essere deleterio; sicuramente riduttivo.

Allo stesso modo, la progettazione di una chiesa deve senz’altro rispondere a determinate ed ineludibili esigenze funzionali, prime fra tutte quelle celebrative dettate dai Libri Liturgici (perciò non della sola Eucarestia), ma non sarebbe mai una chiesa se si fermasse ad una pur perfetta funzionalità.
E’ quanto illustra il secondo significato del “per”, quello da intendere come “mediante” (per mezzo di).
Un riferimento molto utile può essere il Vangelo di Giovanni, quando dice: “Omnia per ipsum facta sunt”. E allora, se “Tutto è stato fatto per mezzo di Lui”, siamo evidentemente davanti a ben altro significato rispetto al precedente “scopo finale”. Qui torna di nuovo utile l’esempio del bicchiere, che nella celebrazione cristiana è il calice.

Secondo il primo significato di “per”, un calice esiste “in funzione di” contenere il vino da consacrare, ma il Cristianesimo nascente non aveva né chiese né suppellettili, potendo contare invece su qualcosa di molto più umile.
La comunità si riuniva attorno al tavolo della domus ecclesia e la padrona di casa metteva a disposizione tutto il meglio che aveva: dalla stanza più ampia e bella alle suppellettili più preziose, a cominciare proprio dal bicchiere migliore (quello“della festa”, per intenderci) utilizzato come calice celebrativo. E dopo la celebrazione, la donna riponeva accuratamente il bicchiere fino alla celebrazione successiva, di fatto riservandolo da quel momento in poi al solo evento liturgico.

Come si vede, siamo di fronte ad un “per iniziale” che, a differenza del precedente “per finale”, caratterizza l’oggetto sin dall’inizio. La trasposizione nel progetto è immediata: la liturgia è fondante già in origine, poiché l’architettura e le arti nascono da essa (“per mezzo di”) e con essa si perfezionano (“in funzione di”).

Il terzo significato del “per”costituisce la forma.
Comunemente, “forma” sta ad indicare il disegno, la conformazione, la geometria dell’oggetto; in altri termini, il suo modo di essere figurativo. In realtà, dire “forma” equivale principalmente al “modo d’essere in bellezza”. Nel caso specifico: “architettura e arti definite con forma della bellezza liturgica”, acquisendo così tutta la dignità, la gradevolezza, il compiacimento capaci di sedurre una persona.

Infine, il quarto significato, attraverso il quale il “per” ci dice che la forma diventa necessariamente “materia”, affinché sia usufruibile.

La funzione-simbolo del bicchiere-calice

La stretta correlazione fra i quattro significati del “per” è esplicitata ancora una volta dal bicchiere-calice per la celebrazione liturgica, che ha una “finalità” (contenere funzionalmente il vino), è un “mezzo” (destinato simbolicamente alla sola celebrazione), ha una “forma” adeguata allo scopo (opera artistica) e si fa “materia”, anch’essa adeguata alla regalità della celebrazione liturgica (oro, argento, cristallo).

Il “per” la liturgia stabilisce dunque un’identità che, a ben vedere, già Vitruvio aveva anticipato con incredibile lungimiranza: un tempio dedicato a Zeus va progettato per contenere il simulacro di Zeus, ma per un tempio dedicato al sole è del tutto inutile ricorrere ai simulacri, perché è sufficiente progettarlo senza tetto e permettere così al sole di entrarvi dentro. Niente più che questa massima attenzione alla sinergia fra struttura funzionale e struttura simbolica dell’edificio cultuale.

La regola è una sola: ascoltare e vedere sono strettamente legati

Una lezione purtroppo non raccolta dalla modernità, e ancor meno dalla contemporaneità, dove è convinzione tanto comune quanto errata che le regole alle quali devono sottostare l’architettura e le arti per la liturgia siano troppe, quindi incontrollabili. Invece, la regola è una sola, splendidamente sintetizzata dal Salmo 48,9: “Come avevamo udito così abbiamo visto, nella città del nostro Dio”; tutte le altre regole non sono altro che un’attuazione di questa. Significa che l’architettura e le arti Cristiane hanno (devono avere) un metro di corrispondenza molto preciso.

Sappiamo che il metro di riferimento universale è costituito da quei cento centimetri intaccati su una barra di platino e iridio, conservata a Sèvres (Francia) in un laboratorio con temperatura costante che ne impedisce la deformazione. Allo stesso modo, l’architettura e le arti per la liturgia sono (devono essere) la corrispondenza perfetta e “a temperatura costante” della Parola di Dio che ascoltiamo.

Pertanto, il Salmo 48,9 crea di fatto un interscambio verbale (e quindi concettuale) talmente solido da poterlo leggere per metatesi: “Vedere la Parola – Ascoltare l’opera”. Significa che mentre ascolto la Parola “vedo” in essa l’opera chiamata a materializzarla. Significa che mentre vedo un’opera “ascolto” da essa la Parola che l’ha generata.

CONCLUSIONE

“Architettura e Arti per la liturgia”(si veda  http://www.anselmianum.com/programmi/architettura-e-arti-per-la- liturgia) è dunque una tematica che può rivelarsi alla stregua di un campo minato, una “lectio difficilior” dove occorre muoversi con estrema cautela nella necessaria ricerca di ogni singolo “perché” delle scelte progettuali, tanto architettoniche quanto artistiche. Non esistono scappatoie, non esiste alcuna “lectio facilior” alla quale aggrapparsi per risolvere il progetto con l’illusoria equazione del “semplice uguale chiaro”.

Il troppo semplice comunica il nulla, in architettura come in arte, in letteratura come in musica, e purtroppo il nulla è sempre chiaro. Non di rado chiarissimo.

Stefano Visintin OSB

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