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San Severino Marche a più di un anno dagli eventi sismici

S.E. Mons Francesco Giovanni Brugnaro, Arcivescovo di Camerino San Severino Marche

Sono negli occhi di tutti i disastri causati dagli eventi sismici nel centro Italia a partire dal 24 agosto 2016 fino a gennaio 2017.

Accanto ai drammi personali di migliaia di famiglie, fattorie, scuole, aziende, comunità cristiane e parroci, privati delle proprie abitazioni e costretti a sfollare verso gli alberghi sulla costa adriatica, si è fatta evidente, fin dai primi momenti, la gravità dei danni subiti dal patrimonio artistico, architettonico, storico, archivistico e culturale.

Dei 34 Comuni appartenenti all’Arcidiocesi di Camerino – San Severino Marche (MC), ben 31 sono inseriti all’interno del cratere sismico e sono dichiarati zona rossa. All’indomani del sisma, ho istituito un’Unità di Crisi e Coordinamento Arcidiocesano post-Terremoto (UCCAT) preposta ad accogliere le richieste di aiuto provenienti dalle parrocchie, ad interagire con le istituzioni pubbliche e commissariali competenti, a recuperare e mettere al sicuro, a monitorare la realtà della situazione.

L’UCCAT ha predisposto due database digitali, sia per i beni immobili (350 risultano con lesioni gravissime), che per quelli mobili (2246 opere ricoverate presso i depositi arcidiocesani allestiti d’urgenza insieme al Comando TPC dei Carabinieri, e riconosciuti dalle varie sovrintendenze, oltre alle 242 opere portate alla Mole Vanvitelliana di Ancona per i successivi restauri). Un programma di geolocalizzazione aggiorna continuamente ogni informazione e intervento che sia utile alla tutela e ai progetti futuri.

E non posso tacere la fatica per mettere al sicuro dalle macerie, dall’acqua e dalla neve la settantina di antichi e preziosi archivi parrocchiali.

A fronte della drammaticità di questo quadro complessivo, si riscontrano segni di sicura ripresa. L’On. Commissaria Paola De Micheli sta velocizzando i lavori col rendere le Diocesi soggetto attuatore: partiranno progettazioni e gare sulle opere più importanti per ricostituire le comunità.

Guai se responsabilità e intelligenza non diventano progettualità. Non basta la memoria per farci uscire dalla precarietà demoralizzante che abbiamo vissuta col terremoto.

Se noi ringraziamo Dio per non aver avuto morti e feriti, dobbiamo riscoprire che i beni delle nostre comunità cristiane ci parlano della storia al futuro! Essi vanno custoditi non solo per il loro valore storico-artistico, ma anche perché il riferimento identitario e rappresentativo per le comunità, che li hanno voluti e generati, continua ad alimentare oggi lo stupore della bellezza, ad illuminare il mistero della nostra vita, a dar senso alla promozione umana.

L’urgenza di porre la tempestività come motore della ripresa e/o ricostruzione non dipende esclusivamente dalla fruibilità dei beni artistici e dalla necessità di ripristinare le chiese, ma dal dovere di non rendere assente o remoto lo spirito del Vangelo che nei secoli ha educato alla“civiltà dell’amore”.

Bisogna riportare a vivere tra noi, all’interno degli spazi resi sicuri, l’estetica dello spirito prodotta dalla millenaria cultura cristiana che, non escludendone altre, permette alla generalità dei fruitori di riconoscersi nell’umano che rappresenta.

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