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Liturgia e bellezza. È bello ciò che è verità

Don Luca Franceschini
Direttore Ufficio Nazionale per i Beni Culturali e l’Edilizia di Culto della CEI

Davanti a un’opera d’arte, a un’architettura o a un adeguamento liturgico la domanda che più spesso si riceve è se questo ci piaccia oppure no, se sia bello o non lo sia.

Questa domanda, che normalmente prevede una risposta del tutto soggettiva, ne pone una più complessa e poco appagante, poiché non comunica un’immediata risposta al quesito precedente e non ci consente di sapere se ci piaccia oppure no ciò a cui siamo posti innanzi; ci chiede di rispondere alla domanda, più filosofica forse, su cosa sia la bellezza.

Come conoscere, dunque, e come riconoscere ciò che è bello in questa nostra società dominata più dalla tecnica che dalla contemplazione delle cose?

Papa Benedetto nell’Enciclica Caritas in veritate dice: “Ogni nostra conoscenza, anche la più semplice, è sempre un piccolo prodigio, perché non si spiega mai completamente con gli strumenti materiali che adoperiamo.

In ogni verità c’è più di quanto noi stessi ci saremmo aspettati, nell’amore che riceviamo c’è sempre qualcosa che ci sorprende.

Non dovremmo mai cessare di stupirci davanti a questi prodigi. In ogni conoscenza e in ogni atto d’amore l’anima dell’uomo sperimenta un «di più» che assomiglia molto a un dono ricevuto, ad un’altezza a cui ci sentiamo elevati.” (22)

Penso che, come il Papa insegnava, la bellezza debba essere strettamente collegata alla verità e si debba riconoscere l’aspetto di mistero che si cela dietro alla nostra ricerca di ciò che è bello.

Il bello che cerchiamo e desideriamo poter “vedere”, si manifesta in modo speciale nell’esperienza liturgica; la liturgia infatti “ha un intrinseco legame con la bellezza: è veritatis splendor” (Benedetto XVI in Sacramentum Charitatis, 35, bellezza e liturgia)

Nella Liturgia, il piccolo prodigio della conoscenza, anche la più semplice, si manifesta attraverso la bellezza consentendo di cogliere il mistero che si svela.

Nella foto Basilica di Sant’Antonio di Padova. Proposta della “Pastorale del bello” che intende, attraverso il linguaggio dell’arte figurativa, della musica e della poesia, ricondurre gli uomini e le donne di oggi a Dio.
[Le foto sono tratte da www.google.com/immagini]

Si comprende così come la conoscenza più vera e quindi l’esperienza del bello possa viversi solo attraverso l’amore che è la più profonda forma di conoscenza che l’uomo possa esprimere e vivere.

Un’opera esteticamente perfetta ma che non corrisponde alla verità del suo essere non sarà dunque bella quanto un’altra, magari più semplice ed esteticamente meno appariscente, che tuttavia risponde con verità al proprio essere nella realtà, nella vita e nella liturgia.

Sarà dunque la bellezza, questa bellezza così vera e radicata nell’amore, a cambiare le cose e guarire le ferite della nostra storia, oppure sarà proprio l’amore a far travisare la realtà delle cose? Sarà la bellezza a salvare il mondo, come afferma il protagonista del romanzo di Dostoevskij, oppure potremo farlo tacere come il personaggio antagonista, ritenendo frivola l’affermazione e il protagonista troppo innamorato per essere oggettivo?

Il tema non può essere dunque banale.

Possiamo provare a chiederci cosa sia bello in questo nostro tempo controverso e soggettivista, in un momento così confuso nelle scelte e nel quale a molti risulta lontana l’esperienza di fede e la contemplazione di ciò che resta invisibile agli occhi, solo con estrema umiltà e lasciandoci guidare più dall’amore che dal senso estetico.

La scena di un dramma può raffigurare una bellezza e un’esperienza artistica immensa: il più bello dei figli dell’uomo “non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi” (Isaia 53,2).

Papa Benedetto conclude il suo capitolo su bellezza e liturgia dicendo: “La bellezza, pertanto, non è un fattore decorativo dell’azione liturgica; ne è piuttosto elemento costitutivo, in quanto è attributo di Dio stesso e della sua rivelazione. Tutto ciò deve renderci consapevoli di quale attenzione si debba avere perché l’azione liturgica risplenda secondo la sua natura propria”.

La domanda dunque per un’architettura o un’opera d’arte creata per la Liturgia non è se sia bella e, paradossalmente, neppure se aiuti il singolo a pregare, ma se consenta di celebrare e cogliere il mistero nella sua verità; non si tratta di un’esperienza meramente estetica, né di spiritualità individuale ed intimista.

L’architettura e ogni altra espressione artistica si misurano in relazione alla capacità di offrire alla Chiesa che celebra i misteri della fede, in particolare l’Eucaristia, lo spazio più adatto allo svolgimento dell’azione liturgica.

Infatti, “la natura del tempio cristiano è definita dall’azione liturgica stessa, che implica il radunarsi dei fedeli (ecclesia), i quali sono le pietre vive del tempio“.

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