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Restaurare: segno di memoria e devozione

Si può considerare un “caso studio” esemplare il lungo e meticoloso restauro di un’opera in conglomerato cementizio della metà del secolo scorso, che restituisce in tutto il suo splendore la statua della Madonna dell’Assunta alla comunità di Bagnara Calabra (RC)

L’importanza di un restauro. Restaurare come segno di memoria e devozione

Presentazione dell’intervento di restauro, presso la Chiesa Abbaziale di Bagnara Calabra, (10 Luglio 2022): da sx Don Rosario Pietropaolo, l’arch.Caterina Parrello, il restauratore Giuseppe Mantella, Don Pasqualino Catanese, vicario della Diocesi di Reggio Calabria.

La statua della Madonna dell’Assunta, posta sul timpano della chiesa abbaziale Santa Maria e i XII Apostoli a Bagnara Calabra (Rc), fu realizzata dall’artista bagnarese Carmelo Barbaro negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, ma già nel 1991 era stata oggetto di primo restauro di ripulitura e sistemazione.

Ultimamente si presentava in condizioni di forte degrado, quasi in frantumi a causa degli agenti atmosferici e naturali, come l’acqua che l’ha scavata creando gravi danni.

Grazie alla meticolosa attenzione per la conservazione dei beni culturali da parte dell’abate Mons. Rosario Pietropaolo, che si è sempre prodigato per la cura e la valorizzazione del patrimonio artistico e architettonico delle chiese di Bagnara, la scultura è stata sottoposta a una lunga attività di restauro.

Il restauratore che ha svolto questo delicatissimo intervento di recupero e di valorizzazione è Giuseppe Mantella, già impegnato in importanti restauri tra i quali “l’estasi di Santa Teresa” del Bernini.

Sin dal primo sopralluogo nel 2018 , avvenuto in occasione del rifacimento della facciata della Chiesa Madre, la statua si presentava completamente distrutta. Anche se l’opera non era sottoposta a vincolo di tutela, il progetto di autorizzazione alla Curia era stato presentato al fine di dimostrare che a prescindere dall’età di un bene, il riconoscimento di “bene culturale” viene dato anche dal senso di appartenenza di un popolo a quella che è un’opera figlia di un’artista della propria terra, e che segna un legame identitario forte sia con il territorio sia come devozione cultuale.

La Statua dell’Assunta durante la presentazione del Restauro. Nell’abside in fondo, un affresco opera di Primo Panciroli. – Foto di Pasqualino Nassi

Quest’opera fa parte della storia di Bagnara e fa capire quanto sia importante e necessario l’impegno da parte di tutti nel conservare, valorizzare e far conoscere non soltanto le opere d’arte più preziose e che appartengono ai secoli scorsi, ma anche le opere del ‘900, che ci rappresentano e che fanno parte della nostra quotidianità e ci restituiscono senso di appartenenza.

La ricostruzione che seguì il devastante terremoto che colpì la provincia di Reggio Calabria nel 1908, ebbe come conseguenza diretta la realizzazione di nuovi fabbricati e nuove opere realizzati prevalentemente con nuovi materiali: il cemento e il ferro. Allora non ci fu la giusta consapevolezza che l’utilizzo di questi nuovi materiali anche nell’arte contemporanea potesse in qualche incidere negativamente sulla loro durabilità nel tempo.

L’introduzione del cemento armato, applicato alle opere d’arte, crea quindi un grandissimo problema. Soprattutto in quelle costruzioni realizzate nei territori di fronte al mare, dove il patrimonio culturale e artistico di recente costruzione è ormai seriamente compromesso sia dal punto di vista estetico che sotto l’aspetto della solidità.

Una copia della Statua dell’ASSUNTA è stata ricollocata sulla facciata della Chiesa Santa Maria e i XII Apostoli a Bagnara Calabra (Rc).

Quest’opera fu realizzata volontariamente da Carmelo Barbaro in conglomerato cementizio, e poi modellata rifacendosi alle tecniche che si utilizzavano per realizzare gli stucchi, con polveri di marmo e cemento bianco, che venivano lisciati per ottenere una brillantezza particolare con il riflesso della luce.

L’opera si presentava sotto un attacco biologico esponenziale, facendo cambiare completamente colore a quella che doveva essere una statua di colore bianco e che doveva riflettere il candore dato dalla polvere di marmo di carrara e del cemento bianco utilizzato per le finiture. La patina biologica ricopriva completamente tutto.

La drammaticità delle condizioni in cui versava l’opera era evidenziata anche dalla mancanza di parti della stessa, che si erano staccate nel tempo: era ormai completamente priva delle mani (rimaneva qualche moncone delle dita), dove spuntavano i ferri che l’artista aveva utilizzato per modellare le parti e darne una forma con la polvere di marmo.

Questi drammatici particolari hanno evidenziato sin da subito la difficoltà di esecuzione dell’intervento di restauro.

Sulla sommità del capo della statua, a seguito di un piccolo foro eseguito per l’inserimento di un’aureola, l’acqua aveva cominciato a penetrare arrivando all’interno della statua proprio nel luogo dove si trovava il perno che faceva da struttura per l’intera opera. Questo ferro ha cominciato nel tempo ad arrugginirsi e gonfiarsi a tal punto che la statua ha cominciato ad aprirsi a metà per tutta la sua altezza.

La parte inferiore era quella che si conservava un po’ meglio, ma osservandola più da vicino ci si è resi conto che sul retro si evidenziavano tutta una serie di stuccature approssimative che erano state eseguite dai lavori di pulitura del 1991 proprio per cercare di contenere i danni già allora erano presenti.

Prima di redigere il progetto di restauro è stata eseguita una dettagliata documentazione fotografica dello stato dell’opera, e dei reperti che via via sono stati catalogati e numerati. Chi si occupa di restauro ha infatti il dovere di conoscere intimamente l’opera, in maniera tale da poter condividere l’intervento prima con la Diocesi, che attraverso la commissione d’arte sacra, valuta l’opportunità o meno di un intervento esecutivo. Ovviamente in questo caso, trattandosi di un opera di cemento, qualche dubbio può anche venire, perché si tratta di un opera di grande devozione ma dal punto di vista storico e artistico, essendo appunto realizzata con materiali “effimeri” poteva creare qualche problema.

Nel restauro di opere d’arte siamo spesso abituati al marmo e all’uso di materiali più preziosi. Invece in questo caso la statua, nonostante fosse stata realizzata esternamente con materiali più pregiati come polvere di marmo e cemento bianco, restava comunque una scultura in cemento armato e non aveva complessivamente un suo più generale valore artistico.

Proprio perché la statua sarebbe stata posizionata in alto sul timpano della facciata della chiesa, l’artista la compone modellandola con delle proporzioni particolari, come le gambe accorciate e le spalle molto allargate, proprio per avere la prospettiva migliore se guardata dal basso verso l’alto.

I danni continuavano a venire fuori durante l’ispezione, e oltre a quelli più evidenti nella parte longitudinale si intravedevano anche delle lesioni strutturali in senso orizzontale.

Tant’è vero che la statua si continuava a rompere in decine e decine di frammenti.

Le immagini drammatiche dello stato di conservazione, avrebbero scoraggiato chiunque, ma solo una motivazione forte e una passione altrettanto intensa, da parte del parroco e del restauratore che ha condotto i lavori, ha fatto si che con coraggio e determinazione si portasse avanti questo certosino lavoro.

Centinaia furono i frammenti che vennero smontati e portati al laboratorio, per la ricostruzione dell’opera. Dall’immagine fotografica in bianco e nero dell’opera originale e poi attraverso la realizzazione di una fotogrammetria si è proceduto, con il supporto della tecnologia, a ricollocare ogni singolo frammento, sia quelli superficiali che quelli più interni, che costituivano la struttura della statua.

Ogni frammento è stato riposizionato esattamente come l’aveva voluto l’artista.
Sono stati raccolti e contati 782 pezzi, che amorevolmente sono stati riassemblati. L’intervento di ricostruzione dell’opera è stato eseguito attraverso quello che era il degrado delle superfici raccolte per accostare le parti in modo tale da recuperare ogni minimo frammento.

Ogni singolo frammento è stato pulito e consolidato, alcune volte a pressione, altre volte a pennello, con l’applicazione di resine che potessero di nuovo dare vita ai materiali deteriorati.

Come in un puzzle tutti i pezzi sono stati ricollocati. E’ stata utilizzata una nuova struttura metallica al suo interno, non di ferro, ma zincata, proprio per evitare nuovi e futuri problemi.

Dove era necessario sono stati rimossi i ferri ormai arrugginiti e sostituiti con perni in vetroresina così da non renderli più attaccabili dalla ruggine. Tutte le parti sono state chiuse con delle stuccature per completare l’omogeneità della scultura. E’ stato utilizzato un impasto di calce e fibre rinforzate per completare le parti mancanti, in modo tale che sia sempre leggibile l’intervento di restauro eseguito e la differenza tra le nuove lavorazioni e le parti originali dell’opera. La parte più importante è stata il viso: solo una copertura microbiologica lo aveva annerito, ma non presentava alcuna fessura, e quindi risulta essere uguale alla modellazione originale che aveva fatto l’artista.

Tutto questo è stato fatto rispettando il principio fondamentale di restauro che è quello della REVERSIBILITÀ, nel rispetto della differenza tra le parti applicate e le parti originali, il tutto accompagnato da una mappatura della nuova opera in modo tale che tutto questo sia facilmente leggibile.

Così le future generazioni potranno comprendere al meglio l’intervento eseguito. I restauratori non devono essere i protagonisti del restauro, né devono sostituirsi agli artisti ma devono avere il rispetto assoluto della materia e della vita di un’opera.

Soprattutto nelle opere che sono destinate al culto c’è la necessità che le opere debbano essere restituite nella loro completezza, ma rendendo sempre leggibili gli interventi che sono stati eseguiti.

Tutto questo lavoro si può riassumere in un intervento pilota: cambia la materia ma la metodologia dell’intervento di restauro deve essere sempre quella. Facendo in modo che tutto possa contribuire alla valorizzazione e alla trasmissione al futuro.

A conclusione dei lavori, la statua originale è stata collocata all’interno della chiesa in uno spazio appositamente dedicato e adibito al culto, mentre una copia della stessa dimensione è stata realizzata nuovamente e collocata sulla facciata della chiesa a devozione dell’intera comunità, come memoria di forte identità di questo luogo.

Il servizio è a cura di Caterina Parrello, Don Rosario Pietropaolo e Giuseppe Mantella


Carmelo Barbaro, Nato a Bagnara Calabra il 23 Novembre1916, fin dall’infanzia mostrò evidente tendenza all’arte e notevoli capacità intellettive. Autodidatta arricchisce le sue conoscenze frequentando, da una parte, le botteghe dei tanti artigiani operanti nella cittadina tirrenica e dall’altra, negli anni della giovinezza, dei corsi per corrispondenza di disegno artistico e geometrico. Molte delle sue opere giovanili sono diffuse

E’ soprattutto negli anni settanta che può dare libero sfogo alla sua capacità creativa. Con L’avvio infatti della riforma della Liturgia voluta dalla Chiesa con il Concilio Vaticano II inizia un periodo di grande impegno creativo e produttivo da parte dell’artista su commissione di molte chiese dell’ Arcidiocesi di Reggio Calabria.

Numerosi i progetti e le realizzazioni da Barbaro compiute con la sua ditta BARBAROMARMI: il suo nome è dappertutto, a Reggio, Vibo Valentia, Bagnara, Scilla, Villa San Giovanni, Melia e dovunque lascia il segno della sua genialità creativa, messa a servizio della chiesa, in sintonia sempre con le indicazioni dell’autorità religiosa, e con la costante preoccupazione di inserire gli interventi e le opere nuove nel contesto storico-artistico di ogni edificio sacro.

La sempre attenta progettazione – quando gli è richiesta, l’appropriata scelta dei materiali – grande ed esperto conoscitore delle qualità di ogni tipo di marmo- l’accuratezza dell’esecuzione con l’impegno dei suoi “giovani operai”il simbolismo attinto dalla ricca tradizione cristiana imprimono sempre una freschezza di novità alle sue opere, che tuttora conservano, e suscitano ammirazione. Nell’intreccio compiuto ogni volta tra l’esigenze liturgiche e l’irrefrenabile vena artistica, gli riesce sempre di “piegare la durezza della pietra”, esaltare la morbidezza della creta nel gioco di basso/alto rilievo, con l’unica finalità di avvicinarsi al mistero di Dio e aiutare il credente nella riflessione contemplativa e orante.

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