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Lavorare per le generazioni future

Lavorare e progettare a servizio delle generazioni future

S.Ecc. Mons. Adriano Cevolotto Vescovo di Piacenza-Bobbio

S.Eccellenza Mons Adriano Cevolotto Vescovo di Piacenza-Bobbio.

“La nostra patria è nei Cieli”, scrive San Paolo (Fil 3,20). Al di là di ogni contrapposizione tra cielo e terra, tra presente e futuro l’affermazione dichiara che l’orizzonte è aperto, il presente ha un futuro, il futuro non è disponibile se non perché è donato.

Sembra che oggi una tale visione sia ben poco rappresentata. La nostra patria è qui. È il segno di come oggi tale prospettiva risulta essere impegnativa, da credere e da comprendere. Eppure anche nelle recenti vicende di lutti sono nate spontanee le domande relative al destino delle persone care: e ora, dove sarà? Dove sono questi “Cieli” di cui parla l’Apostolo? Sta risultando evidente che una terra senza cieli soffoca e diventa invivibile, non abitabile.

Chi ha iniziato a costruire la Cattedrale di Piacenza nel 1122 non ne ha visto la fine, che è avvenuta verso il 1235. Chi ha posto mano per primo a questa “mirabile impresa” credeva alla possibilità concreta per lui e per ogni uomo e donna di entrare in questi Cieli, di sperimentarne il calore, l’abbraccio di Dio, in una parola sola, la vita eterna, senza fine. Questa immensa chiesa era per lui come una porta verso l’Eterno, verso Dio, il luogo di un rapporto di amicizia che non sarebbe finito mai.

La Cattedrale, di cui festeggiamo i 900 anni, nasce dalla volontà di una città intera di darsi un segno concreto della presenza di Dio. Lo ha fatto in modo maestoso, seguendo una spinta che attraversava l’Europa in quel tempo da nord a sud, da est a ovest. Infatti si assiste al sorgere di una distesa di Cattedrali, ognuna delle quali voleva manifestare il cuore della propria identità. Non si può negare la presenza di uno spirito di emulazione, ma la durata dell’impresa non era in grado di sostenere il peso della fatica se non ci fosse stata una motivazione di fede che andava ben oltre ogni ambizione sociale e/o politica. Ogni generazione si percepiva parte di un progetto che la sorpassava, sentiva di contribuire a dare forma a qualcosa che rappresentava il futuro. Il proprio lavoro non era pensato a proprio uso e consumo ma a servizio delle generazioni future.

È una grande lezione per noi che, al contrario, misuriamo il nostro lavoro sul ritorno immediato, sui benefici che possiamo raccogliere. In realtà non c’è fatica che non sia investimento sul futuro, che non abbia la sua destinazione in ciò che ci supera.

I Piacentini, animati dal desiderio di costruire uno spazio per ritrovarsi insieme e per ricordarsi del legame di dipendenza con Dio, hanno dato vita alla Cattedrale attraverso l’impegno delle corporazioni che animavano la città. Sono così riusciti a far sorgere un edificio che si imponeva su tutti gli altri, che richiamava immediatamente l’identità civile oltre che religiosa.

Hanno saputo unirsi e restare uniti, in un tempo di vivacità culturale e commerciale com’era il XII secolo. Il mondo usciva dalle secche e dal non facile rimesco lamento di culture seguito al crollo dell’impero romano. L’arrivo di nuovi popoli aveva sconvolto lo scenario politico e sociale, ma la fede aveva contribuito a rappacificarlo e a stabilizzarlo. La fede cristiana, tenuta viva dall’alacre opera dei monasteri, era l’anima degli inizi del secondo millennio.

In tale contesto di ‘spaccatura’ c’era bisogno anche di un’opera che simbolizzasse la comune ricerca di unità. Ancora più in ragione della distruzione provocata qualche anno prima da un terribile terremoto. Costruire e ricostruire per dare vita ad un nuovo inizio. Il risultato di quell’impresa permette ancora oggi di beneficiare di un percorso spirituale.

Lo stile architettonico, con le sue linee caratteristiche, permette a chi entra in Cattedrale di introdursi in un percorso verso l’alto e verso la luce, indirizzati dai raggi che oltrepassando il rosone della facciata conduco che rappresenta Maria. Quando si entra in essa si è catturati dall’armonia dell’edificio. L’altezza orienta lo sguardo verso l’alto, allo stesso modo che la sua ampiezza invoca la presenza di altri. La semplicità delle linee e delle decorazioni favorisce il raccoglimento, ma allo stesso tempo la presenza della verticalità delle colonne conduce a ritrovare se stessi nello sguardo dall’alto.

Gli elementi architettonici attorno ai quali è stato costruito lo spazio sacro della Cattedrale sono le coordinate umane e spirituali attorno alle quali è necessario intrecciare il tessuto umano e civile, oltre che ecclesiale, delle nostre comunità. Questo cammino ci apre ad una certezza: Dio non è lontano, abita veramente in mezzo al suo popolo. Dio continua ad essere fedele, anche in un tempo come quello della pandemia che ha destabilizzato tutto e tutti.

Entrare in Cattedrale è lasciarsi condurre verso un Amore che ci viene incontro e che ci rappacifica. “Aprirsi all’amore di Cristo – scriveva Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica Redemptoris Missio nel 1990 – è la vera liberazione. In lui, soltanto in lui siamo liberati da ogni alienazione e smarrimento, dalla schiavitù al potere del peccato e della morte. Cristo è veramente la nostra pace» (Ef 2,14)”. Fare ancora oggi questa scoperta ci aiuta a convincerci che siamo in presenza di un dono.

Questa Cattedrale non è un bene solo dei cattolici o dei praticanti che vanno a messa la domenica. Questo luogo è di tutti. In una società plurale, come la nostra, dove più tradizioni culturali e religiose si confrontano e convivono, la Cattedrale è un forte richiamo all’anelito che ci accomuna, è invito a testimoniarci la bellezza di camminare e di costruire insieme. La pandemia ci ha fatto capire che o ci si salva così, oppure si è perduti: nelle famiglie, nelle aziende, nell’educazione delle nuove generazioni. Di fronte a noi si apre un cammino.

Questo centenario di fondazione evoca la fondazione che oggi ci riguarda: quella che è richiesta all’inizio di questo millennio. Per chi crede in Cristo essa rinvia al fondamento su cui costruire: si tratta di radicarsi, di appoggiarsi su quel gesto d’amore gratuito da cui siamo rinati e da cui ripartire sempre il battesimo; per chi è alla ricerca di un senso della vita o chi vive un’altra esperienza religiosa, questo spazio aperto abbraccia tutti e tutte in un’esperienza di fraternità.

“Nessuno si salva da solo”, come ha sottolineato papa Francesco nel messaggio per la Giornata mondiale della pace del 1° gennaio 2021: nella pandemia del Covid-19 “ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme”. Abbiamo voluto chiamarla “tenda del cammino”, il luogo dove può sostare chi si sperimenta come il nomade. Nel deserto. Sarà tenda dell’incontro se riusciremo a renderla tale. Per noi e per tutti.

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