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John Felice Rome Center – Expansion campus of Loyola university Chicago

La Loyola University Chicago è una delle università private cattoliche gesuite più importanti degli Stati Uniti. Il John Felice Rome Center è il campus universitario della Loyola a Roma. 

Fondato nel 1962, dal 1978 ha la sua sede in un ordinato complesso di edifici (progettati dall’Ing. Ignazio Breccia Fratadocchi) che comprende il dormitorio, gli uffici, la biblioteca e la mensa, collocato sulla sommità nord del Colle della Balduina, nel settore nord-occidentale della città. 

Foto di Moreno Maggi 

Nel 2009 il complesso del Campus è diventato di proprietà della Loyola e si è dato inizio ad un programma di ristrutturazione degli edifici esistenti. Successivamente si è deciso di realizzare l’ampliamento della sede prevedendo la costruzione di un nuovo edificio per la residenza degli universitari, una cappella e una hall di ingresso oltre al ridisegno degli spazi esterni. 

Dopo un lungo iter, a partire dal 2019 – in meno di 18 mesi- il progetto di ampliamento a firma del giovane architetto siciliano Ignazio Lo Manto – è stato concluso. 

Il nuovo insieme architettonico non si sottrae al confronto con il contesto e cerca un dialogo concreto con gli edifici e con il sito. 

L’ampliamento si innesta nell’esistente senza mimetismi, ma anche senza forzature e contrasti seguendo un criterio di distinguibilità – connaturato nell’addizione di una nuova architettura, insieme ad una delicata transizione dal vecchio al nuovo – che procede per accostamenti e distanziamenti progressivi. 

Il progetto ha voluto disegnare un recinto il cui limite è in parte formato dagli edifici esistenti e in parte dai nuovi: l’architettura assume una condizione spazialmente contingente, legata al luogo, che agisce ricomponendo il contesto e completando il disegno urbano. Si tratta quindi di una spazialità che si costruisce a partire non dagli oggetti isolati, ma dall’esperienza delle loro interazioni reciproche. 

Foto di Moreno Maggi 

Attraverso una struttura semplice e fortemente iconica l’architettura del John Felice attiva lo spazio circostante invitando a muoversi ed esplorare il complesso da varie angolazioni e prospettive. Il senso dell’operazione progettuale è quello di definire un luogo in cui la migliore percezione la si possa conquistare muovendosi e stabilendo relazioni continuamente mutevoli con il tutto e con le parti: una performance in cui ogni edificio si trasforma in una sorta di dispositivo che collabora alla visione di insieme sulla scena dell’ esistenza quotidiana degli ospiti e dei visitatori. 

Questa qualità contingente dello spazio si estende oltreché agli oggetti, alle materie. 

I mattoni: un materiale domestico che aiuta a legare visivamente e concretamente la nuova architettura con quella esistente, a modulare la luce e a dare un senso di massa e stabilire un pattern materico e cromatico uniforme sul quale definire la scrittura del partito architettonico. 

La sensibilità del progettista lo porta ad utilizzare la materia (il mattone con la sua texture e il suo colore uniforme , ma anche l’acciaio e il vetro) e le entità geometriche come elementi astratti su cui lavorare per definire la migliore unità figurativa dell’insieme in rapporto allo spazio e al contesto. 

Come in un’opera di Robert Morris, Tony Smith o come uno degli specific objects di Donald Judd, le forme, anche grazie alla perfetta omogeneità del materiale, si danno senza fronte, retro, lato, alto, inizio o fine distinti. 

Non vogliono essere immagini, ma volumi da vedere. Edifici monomaterici, masse scavate e lavorate. 

Eliminata qualsiasi idea di latenza (figure o simboli per identificare le funzioni) vengono utilizzati solo oggetti architettonici che chiedono di essere visti per ciò che sono: forme elementari archetipe, manipolate nella loro consistenza materica per permettere il loro transito dallo spazio astratto della geometria a quello concreto dell’architettura: uno scavo per definire l’ingresso, una lieve deformazione del volume a simulare il tetto, un ordito ritmico per ricavare le finestre, due tagli perpendicolari per costruire la croce della cappella. 

Nella sua estrema semplicità, nulla di convenzionale, nulla che possa tradire la natura edilizia dei singoli elementi. 

Ma un’architettura, come qualsiasi altra opera non è data dalla sola materia, dalla sua consistenza. Altri aspetti contribuiscono a creare l’immagine: il luogo di collocazione, il punto di osservazione, la luce che la illumina, l’atmosfera che la circonda. 

Il progetto combina la semplicità essenziale delle forme e dello schema compositivo con la misura, la precisione, la tecnica, il rigore e lo studio attento della luce. 

La luce è strumento e materia di questa architettura, agisce sulle masse rivelando il sistema compositivo delle intersezioni tra i volumi, si intensifica e si riflette sulle chiare superfici orizzontali delle pavimentazioni interne ed esterne definendole, stabilisce gerarchie tra gli spazi, segna i percorsi e rivela la presenza e la qualità dello spazio sacro. 


Ignazio Lo Manto

Il giovane studio con sede a Roma lavora per creare design originali rispettando il contesto e operando su diverse scale di progettazione.

Fin da subito si è affacciato verso un panorama internazionale per sperimentare progetti unici e innovativi. 


IL PROGETTO:

Cliente: Loyola University Chicago, John Felice Rome Center 

Progetto architettonico: Ignazio Lo Manto 

Coordinamento progetto e progetto esecutivo: Alessandro Franchetti Pardo 

Impianti: Marco Musmeci, Massimo Mercuri Strutture: Francesco Del Tosto (Solidus) 

Direzione dei lavori: Marina Cimato (Seste Engineering) 

Project manager: Sharon Miura 

Paesaggio: Flavio Trinca 

Sicurezza: Attilio De Fazi 

Collaboratori: Andrea Ricci, Enzo Venezia, Davide Curci (Rendering) 

Direttore di cantiere: Hermes Faccini 

General contractor: XLam Dolomiti 

Testi: Elisabetta Avallone 

Foto: Moreno Maggi 

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