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Identità e Storia Locale

Riflessioni metodologiche ed orientative per la valorizzazione dei Territori

Dott. Gennaro Saviello, Responsabile del Servizi Culturali e Archivio Storico del Comune di San Cipriano Picentino (SA)

«Nella storia nulla davvero si perde di ciò che, sia pur di minimo, in essa è fiorito». Così, con «profonda convinzione storicistica», nota Aurelio Musi, termina Storia della storiografia italiana. Un profilo di Giuseppe Galasso. L’inciso ci consente di riflettere, in tempi di global history e di globalizazzione spinta, sul ruolo del “fare storia” e sul valore della struttura identitaria delle nostre Comunità che vivono i Territori.

Che senso ha, oggi, il recupero e la valorizzazione dei monumenti e delle tradizioni locali? Alle giovani generazioni “nativi digitali” (il nostro futuro!) può e deve giovare la conoscenza delle proprie radici? A chi serve ricercare, conservare e valorizzare le microstorie, oppure, giova la faticosa costruzione delle mappe di comunità degli ecomusei diffusi, di distretti culturali, di Parchi Storici o dei nuovi ed interessanti modelli di sviluppo come il Parco Culturale Ecclesiale?

La storia locale, per dirla con Guido D’Agostino, «è storia totale di una comunità e del territorio in cui si è insediata e vive, aperta alle suggestioni della ‘nuova storia’, alle prospettive delle analisi micro-storiche, della storia sociale e della storia orale».

In questa prospettiva, anche l’immagine evocata dall’antropologo Francesco Remotti in Contro l’identità ci aiuta a guardare con occhi diversi l’ambiente in cui viviamo, il territorio che calpestiamo e, soprattutto, a riconsiderarlo come una parte integrante di noi stessi, di «ciò che ci rimane al di là del fluire delle vicende e delle circostanze, degli atteggiamenti e degli avvenimenti», aiutandoci a resistere contro l’onda d’urto della modernità e scongiurare gli effetti di una nuova “modernizzazione senza progresso”.

«Una spiaggia marina, in qualsiasi luogo, ciò che ci attira è il movimento di andare e venire delle onde, il loro frangersi e disconnettersi sulla sabbia e il loro ritirarsi… . Ciò che maggiormente colpisce è l’interrotto trasmutare. E l’identità? Se conveniamo con indicare con S (“struttura”) i fenomeni del primo tipo e con F (“flusso”) i fenomeni del secondo tipo, potremmo anche dire che l’identità viene di solito rappresentata con la categoria S, piuttosto che con la categoria F. L’identità è spesso (quasi inevitabilmente) concepita come qualcosa che ha a che fare con il tempo, ma anche, e soprattutto come qualcosa che si sottrae al mutamento, che si salva dal tempo».

Parlare di “locale”, di quanto sia proprio del luogo, oggi, si configura come una nuova opportunità di valorizzazione integrata che, quindi, non deve significare «chiusura localistica, né angustia campanilistica e provincialistica, né nostalgia agreste e reazionaria» ma il respiro lungo delle comunità verso la «rivendicazione» delle radici di ciascuno, intese, quest’ultime, come «un aggancio solido con il passato che deve metterci in grado di proiettarci nel mondo, lanciarci nel mare aperto della modernità e della modernizzazione senza costringerci per questo a buttarci letteralmente allo sbaraglio, finendo per convincerci che il nuovo, e non ancora noto, richieda l’azzeramento di ciò che siamo stati fino al momento dell’impatto».

Un ulteriore momento di riflessione generale è offerto dalla recente pubblicazione del libro “Verso un sistema locale di sviluppo partecipato. Una sperimentazione a San Cipriano Picentino per il recupero e la valorizzazione degli edifici religiosi,” edito da Magna Graecia (2019), nato da un convegno sul tema oggi molto discusso del “riuso” degli edifici religiosi “dismessi” e da una domanda: Dio non abita più qui? Quale è, quindi, il contributo che la storia locale è chiamata a dare nei nuovi processi di recupero del Patrimonio, anche in prospettiva di economia turistica?

Essa, infatti, potrebbe avere un ruolo preminente rivalutando la lezione della scuola francese delle “Annales” che, abbracciando le scienze sociali e “ausiliarie” (come l’Antropologia, la Sociologia, la Linguistica, la Geografia, ecc…), ci indirizza verso un “fare storia locale” con metodo “regressivo” e “circolare”, partendo cioè dal presente per risalire al passato e viceversa, con «vocazione schiettamente qualitativa… elastica, volta allo studio del quotidiano, in grado cioè di misurare, dopo averli messi in evidenza, gli scarti tra evoluzione generale ed evoluzione particolare delle località/comunità»; mutuando, inoltre, dalla Filologia il rigoroso metodo d’indagine e di restituzione dei «fatti».

In quest’ottica metodologica, anche il più piccolo dei borghi d’Italia, la più solitaria chiesetta di campagna, come dice G.M. Jonghi Lavarini; come le più “insignificanti” usanze e tradizioni ancora vive nelle sperdute campagne del nostro Paese; oppure i toponimi o i più astrusi statuti linguistici paremiologici nei “dialetti” nazionali (detti, proverbi ecc…), diventano “storia delle mentalità”, il cuore pulsante di quel processo di «rigenerazione» indicato da Caterina Parrello e una fonte da cui ripartire per costruire nuovi percorsi, in cui tutti e ciascuno si possa riconoscere, per abitare un futuro ospitale, aperto anche ai processi fluttuanti delle identità collettive contemporanee.

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