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Contratti di prestito: il comodato e il mutuo

Considerare anche le altre figure giuridiche, diverse dall’alienazione, come il comodato, il mutuo o la locazione, permette di tutelare il carattere sacro degli edifici – il quale è indispensabile per mantenere, impiantare o risvegliare la fede in una popolazione – e altresì garantire il mantenimento della proprietà su questi beni da parte della Chiesa

Mons. Paweł Malecha, Promotore di Giustizia Sostituto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e docente presso la Pontificia Università Gregoriana

Con l’alienazione le chiese, i monasteri, i conventi e gli altri beni della Chiesa generalmente cessano di essere ecclesiastici ed entrano nel campo profano, perdendo nello stesso momento il loro ruolo di prestigio nell’ambiente urbano e rurale.

Al fine tuttavia di salvare la loro specificità che consiste, prima di ogni altra cosa, in una evidente leggibilità evangelizzatrice, si possono contemplare anche le altre figure giuridiche, diverse dall’alienazione, come il comodato, il mutuo o la locazione.

Infatti, esse permettono di tutelare il carattere sacro degli edifici – il quale è indispensabile per mantenere, impiantare o risvegliare la fede in una popolazione – e altresì garantiscono il mantenimento della proprietà su questi beni da parte della Chiesa.

Nel presente articolo, a causa della sua brevità, si tratterà soltanto dei contratti di prestito che assumono due figure giuridiche diverse, cioè il comodato e il mutuo. La disciplina del contratto di comodato viene esplicitamente prevista dal codice civile italiano (= c.c.) agli artt. 1803-1812, invece quella del mutuo agli artt. 1813-1822.

Il comodato, chiamato in passato anche prestito ad uso, «è il contratto col quale una parte consegna all’altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta. Il comodato è essenzialmente gratuito» (art. 1803 c.c.). Se fosse stabilito un corrispettivo, si avrebbe un contratto diverso, che andrebbe individuato caso per caso: se ad esempio Caio mi presta gratuitamente il televisore, me lo dà in comodato; se vuole un compenso, me lo noleggia.

Nel contratto di comodato a uso gratuito il comodatario, cioè chi prende in comodato il bene – oggetto del contratto – come chiesa, monastero, convento, ma anche biblioteca, archivio, museo ecclesiastico, paramento liturgico o quadro, deve rispettare gli obblighi previsti all’art. 1804 c.c., che statuisce:

«Il comodatario è tenuto a custodire e a conservare la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia. Egli non può servirsene che per l’uso determinato dal contratto o dalla natura della cosa. Non può concedere a un terzo il godimento della cosa senza il consenso del comodante. Se il comodatario non adempie gli obblighi suddetti, il comodante può chiedere l’immediata restituzione della cosa, oltre al risarcimento del danno».

Un monastero abbandonato nel Lazio

Nel contratto di comodato si tratta del prestito di una cosa di regola inconsumabile e infungibile (beni infungibili sono quelli che hanno una loro individualità e non possono essere sostituiti con altri). Caratteristica, invece, del comodato è la temporaneità d’uso; pertanto, il bene dato in comodato deve essere restituito.

La restituzione al comodante avviene o alla scadenza del termine fissato per il prestito o, in mancanza di tale termine, quando il comodatario si sia già servito della cosa a lui data per un determinato uso; quando sopravviene un urgente e imprevisto bisogno al comodante (cf. art. 1809 c.c.); in caso di morte del comodatario (cf. art. 1811 c.c.) e, infine, come sanzione di cui al sopra citato art. 1804 c.c.

Se una cosa è concessa in comodato senza termine o un termine non risulta dalla destinazione d’uso, si è di fronte al cosiddetto comodato precario. In questo caso il comodatario è tenuto a restituire la cosa non appena il comodante la richieda (cf. art. 1810 c.c.).

Va, infine, rilevato che nel caso in cui «la cosa comodata ha vizi tali che rechino danno a chi se ne serve, il comodante è tenuto al risarcimento qualora, conoscendo i vizi della cosa, non ne abbia avvertito il comodatario» (art. 1812 c.c.).

Il mutuo, chiamato anticamente anche prestito di consumazione, è invece il prestito di cose fungibili (sono beni fungibili quelli che possono essere sostituiti con altri della stessa specie, come ad esempio il grano, il vino o il denaro: per me non è importante avere una certa banconota da 20 euro, l’importante è che siano 20 euro, cioè che ritorni a me la stessa quantità di denaro prestata). Il mutuo è quindi il contratto «col quale una parte consegna all’altra una determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità» (art. 1813 c.c.). Le cose date a mutuo passano in proprietà del mutuatario (art. 1814 c.c.).

Un mutuo è generalmente utilizzato dal contraente per l’acquisto di beni o servizi: tipico esempio è il mutuo bancario richiesto da una persona giuridica ecclesiastica per le ristrutturazioni di stabili o per altre attività aventi come scopo investimenti per la tutela degli edifici o di altri beni di interesse religioso.

In conclusione, si può dire che entrambi i sopra riferiti contratti reali possono essere di ausilio, se del caso, ad evitare l’alienazione di un bene ecclesiastico, in modo tale che esso non esca definitivamente dal patrimonio della Chiesa.

Mons. Paweł Malecha

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