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Progetto di valorizzazione e riqualificazione del complesso dell’ex convento di Sant’Agata, Bergamo

La riqualificazione dell’ex Carcere di Sant’Agata nel cuore del centro storico della città di Bergamo rappresenta un esempio virtuoso di rigenerazione urbana realizzato grazie alla collaborazione tra pubblico e privato dove il pubblico è rappresentato dal Comune di Bergamo e il privato dalla Cooperativa Città Alta che aveva da tempo in gestione una parte dei locali dell’ex carcere. Per questo edificio, proveniente da proprietà demaniale, l’Amministrazione Comunale ha messo in pratica i dettami propri del Decreto del 28 maggio 2010, che, redatto di concerto con il Ministero per i Beni Culturali per risolvere l’annoso problema della riqualificazione degli immobili pubblici dismessi da anni e a rischio di rovina, prevedeva l’attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio a fronte della presentazione di un concreto progetto di restauro e riqualificazione architettonica e funzionale realizzato a seguito di un ristretto concorso ad inviti. Attraverso un bando pubblico, la Cooperativa Città Alta è giunta alla sottoscrizione di una Convenzione a lungo termine per l’utilizzo dell’immobile accollandosi l’onere degli interventi. 

La finalità dell’accordo erano chiare: “ Recuperare alla Città di Bergamo e in modo particolare al contesto di “Città Alta” – porzione storica e primigenia della città di Bergamo, luogo di grande valore monumentale e paesaggistico tanto che dal 9 luglio 2017 le mura venete, che cingono la Città Alta, sono entrate a far parte dell’UNESCO, come patrimonio dell’umanità, nel sito seriale transnazionale “Opere di difesa veneziane tra XVI e XVII secolo: Stato da Terra-Stato da Mar occidentale” – l’intero complesso monastico di Sant’Agata poi divenuto dalla metà del’800 sino agli anni ’70 del ‘900 Carcere cittadino e da più di quarant’anni, per una sua gran parte in forte stato di abbandono”. 

L’obiettivo era quello di ampliare e migliorare la dotazione di spazi a disposizione della Cooperativa che, pur avendo una natura commerciale, ha da sempre orientato la propria attività verso l’ambito sociale, promuovendo iniziative di grande impatto sul tessuto urbano di Città Alta e oltre. 

L’immobile comprendeva l’ex chiesa di Sant’Agata e una porzione del convento dei Teatini, addossata sul lato a monte dell’edificio. Si trattava di un organismo architettonico frutto di secolari trasformazioni, che ha imposto un’indagine approfondita, sia storica sia documentale. 

La lunga storia di Sant’Agata 

L’edifico esistente era il risultato di una sovrapposizione di storie ed interventi che dall’epoca romana si sono sovrascritte in questo luogo. L’impianto principale era ed è però quello che deriva dalla più importante delle trasformazioni e cioè quella attuata a partire dall’inizio ‘500.

La chiesa di Sant’Agata è citata per la prima volta nel 908. I primi ampliamenti avvengono dal 1261 quando si insedia un nuovo ordine religioso. Nel settembre del 1575 San Carlo Borromeo effettua la visita pastorale.

Nel 1598 avviene una svolta importante per la storia di questo edificio perché nell’esistente complesso di S.Agata si insedia l’ordine dei Teatini che costruiscono il monastero.

Nel 1630 i monaci Teatini chiedono a Cosimo Fanzago, un progetto per ricostruire la Chiesa che non venne mai realizzato perché si sarebbe organizzato su una pianta centrale di cui non è rimasta alcuna traccia. Nel 1706 con un nuovo progetto di ampliamento: si ricostruisce integralmente l’edificio che aumenta il numero di cappelle passando da 2 a 5.

Il 17 novembre 1797, con l’instaurazione della Repubblica Cisalpina di Napoleone, il monastero viene soppresso e dal 1802 si assiste alla conversione del complesso monastico di sant’Agata in casa di forza dove confluiscono tutte le carceri cittadine su progetto di Leopoldo Pollack realizzato in realtà successivamente su modifica del progetto da parte del Genio Civile. 

Nella sostanza si assiste alla divisione della chiesa in tre piani con una struttura a volte su pilastri in pietra che reggono volte ai vari piani (terra e primo). Ai vari piani vengono disposte le celle ad esclusione del piano secondo. L’area absidale scoperchiata per divenire cortile e dare aria e luce alla “cantina” – presbiterio. Viene edificato un muro di separazione abside – presbiterio e vengono chiuse cappelle laterali compreso lo spazio del pronao. In fase attuativa il Genio Civile nel corso degli anni successivi ha mantenuto solo in parte la filosofia del progetto Pollack modificando in modo sostanziale alcune scelte sia distributive.

Le modifiche, perpetratesi per diversi decenni, hanno progressivamente occultato le presenze storico-artistiche del monastero tale per cui la visione dell’antica Chiesa dei Teatini era percepibile solo pochissimi elementi, tra i quali i volumi della porzione absidale e la presenza dell’esile campanile. 

Al Pollack era stato chiesto evidentemente la possibilità di un più intensivo utilizzo degli spazi, aveva trasformato radicalmente la struttura originaria soprattutto nella parte della chiesa la cui altezza era stata suddivisa in tre livelli con l’inserimento di un doppio ordine sovrapposto di volte ribassate, la demolizione delle cappelle laterali verso il vicolo di accesso principale per la realizzazione della nuova facciata ottocentesca e l’apertura di una cavedio aperto a tutta altezza realizzato scoperchiando il tetto dell’abside per realizzare un patio per “l’ora d’aria” del reparto femminile.

L’ultimo piano dello spazio della chiesa, sottostante la volta a botte era stato controsoffittato per ottenere spazi più facilmente riscaldabili nella zona dell’infermeria del carcere, nascondendo di fatto per molti anni gli affreschi e gli stucchi della volta. Nei piani interrati gli spazi voltati di origine romanica erano stati suddivisi in modo molto intensivo per la realizzazione delle anguste celle di rigore.

Dopo il trasferimento del carcere nella nuova moderna struttura realizzata in Città Bassa l’edificio è rimasto di fatto abbandonato e soggetto ad un processo di progressivo degrado se non limitatamente ad una porzione minoritaria al piano terra che la Cooperativa Città Alta aveva iniziato ad utilizzare già dal 1985 quale luogo di incontro e di ristoro per i residenti. 

Le continue modifiche cancellarono gran parte delle tracce storiche. Oggi dell’antico complesso restano l’involucro esterno, l’abside, il campanile e la navata: fragili testimoni di una storia millenaria che questo progetto mira a far riaffiorare. 

Memoria e progetto del complesso architettonico 

Il recupero alla città di questo significativo bene storico si è sviluppato seguendo quindi due direttrici principali: il recupero delle qualità architettoniche e pittoriche dell’antico complesso monastico ancora presenti e un progetto di rigenerazione del tessuto urbano e sociale definendo le nuove funzioni economiche e culturali per le attività della cooperativa La riqualificazione sismica, tecnologica e impiantistica e di accessibilità dell’immobile sono state altri obiettivi fondamentali del progetto di riqualificazione. L’intervento, realizzato in lotti successivi tenendo conto della necessità di non interrompere le attività principali della cooperativa, rappresenta un incastro di funzioni e spazi che riorganizzano la complessità della struttura. Quando ci siamo trovati di fronte al complesso di Sant’Agata, abbiamo capito che non si poteva intervenire senza ascoltare l’identità profonda del luogo. 

Il complesso architettonico è strutturato quindi attorno ad una corte aperta verso Ovest, con altezze diverse determinate dal dislivello tra vicolo delle Carceri e la via posta a valle. La parte Nord si sviluppa su quattro piani fuori terra. 

L’intervento si è concentrato sul corpo sud, dominato dal volume della ex chiesa: un’aula a navata unica conclusa da un’abside semicircolare, con grande volta a botte scandita da lesene. Nell’Ottocento, la trasformazione in carcere aveva inserito un muro di spina e nuovi solai voltati, tagliando lo spazio e nascondendo la volta affrescata, attribuita a Salvatore Bianchi. 

Il fronte nord si presentava cieco alla base e forato da aperture allineate ai piani superiori, con tracce di decorazioni pittoriche e piccole finestre ovali al mezzanino. Sulle superfici, l’intonaco degradato e volumi aggiunti tra Ottocento e Novecento nascondevano la lettura originaria.

A sud, sul vicolo Sant’Agata, resisteva un intonaco bugnato neoclassico, ma compromesso. L’ex sacrestia mostrava facciate disomogenee, intonaco “strollato” e aperture irregolari, mentre la zona absidale, in pietra a vista, appariva priva dell’intonaco originale. All’angolo sud-est, l’ingresso dell’ex carcere era segnato da un architrave con l’incisione “Carceri giudiziarie”, accanto al campanile della chiesa, non oggetto dell’intervento. 

La facciata ovest, rivolta verso il giardino, mostrava una muratura in pietra e laterizio, con aperture irregolari legate alle successive trasformazioni. Restavano leggibili le finestre quadrate del progetto carcerario di Pollack e aperture architravate, tra cui una trasformata in balcone. La presenza della centrale termica, di una doppia scalinata e di un volume promiscuo per il deposito ne alterava però l’immagine complessiva. 

A est, il volume absidale dominava la scena con grandi finestre strombate. L’intero edificio, segnato da stili sovrapposti e decorazioni celate, mostrava una ricchezza architettonica da riscoprire. La sua posizione accanto al complesso del Carmine ne rafforzava il valore identitario all’interno di Città Alta. 

L’immobile si articola oggi su quattro livelli – interrato, terra, primo e secondo piano – e il progetto di recupero ha rappresentato un’occasione unica non solo per la Cooperativa, ma per l’intera comunità. 

Il progetto riorganizza sui quattro piani le diverse funzioni della Cooperativa: bar, pizzeria, ristorante, magazzini e cantina oltre che gli spazi culturali e spazi destinati alla frequentazione quotidiana degli anziani. 

Il Progetto: liberare lo spazio, raccontare la storia 

La natura originaria della Chiesa appariva poco leggibile, tanto da non essere percepita ne nelle parti esterne né tantomeno in quelle interne a causa degli interventi ottocenteschi e di quelli di epoca recente. Il progetto, pur conservando la stratificazione delle storie e degli interventi, ha voluto fare percepire le presenze dell’antica chiesa sia in termini volumetrici che negli apparati pittorici presenti sottotraccia. 

Varcata la soglia del nuovo ingresso si accede nello spazio della prima campata avente per copertura le volte ottocentesche ribassate sostenute da una trama ordinata di massicce pilastrature in pietra squadrata poste in asse dell’antica navata. In questo spazio è stata mantenuta e ampliata la funzione di bar ristoro che rappresenta l’attività principale della Cooperativa.

Su tutti i piani sono state eliminate le pareti divisorie degli spazi mantenendo solo i pilastri, i solai e le volte, svuotate e sismicamente rinforzate all’estradosso, riportando il volume unico, così com’era previsto dal progetto trasformativo del Pollack. Per rafforzare la lettura dell’inserimento ottocentesco della struttura voltata tutte le superfici sono state intonacate con un intonaco di calce leggermente rustico di colore grigio lasciando invece le pareti più antiche della chiesa con i loro intonaco originale semplicemente fissato e puntualmente restaurato con la rimozione dell’intonaco tardo ottocentesco. 

Le tre cappelle laterali, totalmente occultate e chiuse da interventi successivi, sono state aperte e liberate dalle murature di tamponamento recuperando la loro doppia altezza sulla quale si affacciano oggi gli spazi del primo piano. Un percorso in leggera discesa, attraversandole porta ad altri spazi del complesso monastico addossati al lato nord della chiesa. Anche nelle tre cappelle la rimozione degli intonaci ottocenteschi ha portato al ritrovamento di affreschi sulle pareti e sulle volte. 

Uno dei brani più significativi dell’intervento di restauro è rappresentato dalla nuova scala in ferro che sviluppandosi a tutta altezza attorno ad uno spazio vuoto permette di percepire, in questo unico punto, la sezione a tutta altezza della chiesa con uno scorcio che dal piano terra accompagna il visitatore fino alla volta barocca affrescata della copertura collocata a quattordici metri di altezza. 

Una grande lama di 10 mt x 3.80 in ferro grezzo nero cerato accompagna lo sguardo accentuando la verticalità dello spazio. 

La liberazione dell’ambiente interno dell’ex chiesa ha rappresentato un momento decisivo, un gesto che restituisce dignità all’impianto architettonico e ne riattiva la percezione unitaria. Questo intervento non solo ridefinisce lo spazio in termini compositivi, ma ha anche importanti ricadute pratiche: migliora in modo significativo la circolazione naturale dell’aria e della luce, contribuendo al benessere interno e al controllo passivo della temperatura. 

Tra gli obiettivi principali del progetto c’è la volontà di trovare un equilibrio autentico e rispettoso tra le diverse stratificazioni storiche dell’edificio. 

Piano Terra 

La destinazione d’uso del piano terra è quella di bar-ristoro. La pavimentazione, monolitica e dal disegno semplice, dialoga con gli allineamenti delle pilastrature ottocentesche, richiamando l’ordine originario dello spazio. 

Uno degli interventi più significativi è stato il recupero della spazialità originaria. Sono state eliminate le pareti divisorie aggiunte nel tardo Ottocento, restituendo continuità e respiro all’ambiente. Gli elementi strutturali – pilastri, solai, volte – sono stati mantenuti e valorizzati, secondo l’intento trasformativo già previsto da Pollack, rendendo percepibile l’unità originaria del volume sacro. 

I soffitti a vela del piano terra, alcuni intonacati, altri già “scorticati” dal tempo, sono stati trattati con una velatura semitrasparente grigia che ne lascia intravedere la trama in cotto. Anche le volte intonacate sono state ritinteggiate nello stesso tono, definito in sintonia con la Soprintendenza. 

Tutte le pareti dell’ex chiesa sono state oggetto di un attento intervento di restauro. In molti casi abbiamo rimosso l’intonaco tardo ottocentesco per riportare alla luce gli intonaci originali, anche se segnati dal tempo. Questo processo ha restituito autenticità e nuova dignità alla ex navata su tutti i livelli. 

Un momento simbolico e architettonicamente potente è stato la riapertura delle tre cappelle laterali. Liberate dalle murature di tamponamento, sono ora attraversate da un nuovo percorso in leggera discesa, che conduce al filtro tra la chiesa e il corpo monastico retrostante. Una passerella in ferro, semplice ma evocativa, guida questo tragitto, culminando nello spazio destinato all’ascensore che collega tutti i livelli. 

Nel corso della rimozione degli intonaci, sono affiorati affreschi sulle pareti e sulle volte delle cappelle. Ogni ritrovamento è stato trattato con cura: conservare, restaurare, rivelare. Anche l’ingresso è stato ripensato. Una nuova scala, leggera e lineare in ferro, sostituisce quella esistente, estendendone la funzione anche al piano superiore. 

Il ferro grezzo nero cerato rappresenta il filo conduttore delle nuove addizioni presenti all’interno della struttura storica, scale, nuovi ascensori, pavimenti e dettagli di arredo costruiscono un livello immediatamente leggibile che dialoga con leggerezza rispetto al carattere massivo delle strutture storiche. Anche i nuovi serramenti, esonerati dall’obbligo di stringenti normative prestazionali dal punto di vista energetico, sono realizzati con profili dotati di particolare leggerezza. 

Una scelta strategica è stata quella di collocare la cucina nel volume absidale, un grande vuoto verticale che ha consentito di inserire impianti e passavivande senza intaccare la struttura. Tre passavivande servono i diversi livelli, organizzando la cucina come una “macchina” funzionale e nascosta. 

La spessa parete tra presbiterio e abside è stata trasformata in elemento di rappresentazione: una pannellatura verticale, con possibile fondo colorato o un trittico pittorico contemporaneo, abita i tre piani, reinterpretando simbolicamente il luogo dell’altare maggiore. 

Nella ex sacrestia, oggi spazio lavaggio e retrobanco, abbiamo recuperato le volte lunettate, liberandole dagli interventi invasivi che si erano stratificati nel tempo. Ogni piccolo volume è stato trattato con lo stesso rispetto del grande invaso della navata. 

Il nuovo banco bar nasce dal presbiterio e si sviluppa verso la navata, segnando un gesto di continuità e centralità. 

Negli spazi già oggetto di interventi pregressi, come il locale forno e la sala affrescata, sono state mantenute le funzioni esistenti. In un piccolo ambiente completamente affrescato, un allestimento permanente racconta la storia del luogo, valorizzandone la memoria. 

Infine, nelle due sale a ovest è stato realizzato un nuovo blocco servizi su due livelli, demolendo e ricostruendo il solaio intermedio. Il montacarichi e la scala di servizio in ferro, sobri e funzionali, servono il piano terra e quello interrato. Le finiture, in resina a grandi riquadri e piastrelle nei bagni, completano l’intervento. 

L’intervento percorre il filo della storia, portando nuova vita a uno spazio sacro senza tradirne l’anima. Ascoltando ciò che il luogo aveva da dirci. 

Piano interrato 

Accedere ai locali del piano seminterrato significa scendere non solo di quota, ma anche nella memoria più cruda e autentica del luogo. Qui, dove un tempo le volte custodivano piccoli spazi convertiti in celle durante la trasformazione ottocentesca in carcere cittadino, abbiamo intrapreso un’opera di “liberazione” architettonica e simbolica.Tutte le aggiunte incongrue di quell’epoca sono state rimosse, riportando alla luce la spazialità originale dei magazzini voltati. Due ambienti più ampi, coperti da volte a botte e quadrilobate, sono stati pensati per una futura destinazione come taverna: spazi che potranno accogliere persone, racconti e convivialità, in netto contrasto con l’uso detentivo che li aveva segnati.L’approccio seguito è stato quello conservativo: le murature e le pavimentazioni esistenti sono state mantenute, integrando con discrezione i necessari impianti tecnici. 

Graffiti, incisioni e scritte lasciate dai detenuti, tracce umane, testimonianze di vite vissute in condizioni estreme sono state puntualmente conservate. In parallelo al recupero storico, il progetto ha dovuto affrontare le esigenze operative della nuova struttura cooperativa. Nella fascia ovest del complesso un nuovo volume seminterrato, ospita la centrale termica, i locali tecnici per il trattamento dell’aria, lo spazio rifiuti e tutti gli impianti necessari al funzionamento quotidiano. 

Questo nuovo intervento ha un duplice valore: tecnico e urbano. La copertura del volume tecnico, infatti, è stata pensata come un sagrato recuperato, uno spazio di soglia tra l’edificio e il contesto, che riconnette il corpo dell’ex chiesa con la città. In coerenza con questa visione, E’ stata prevista la demolizione del volume incongruo adiacente alla facciata ovest, costruito in tempi recenti e privo di valore architettonico. 

Spazio esterno 

Uno degli aspetti che più ci ha appassionati in questo progetto è stato il rapporto tra l’interno e l’esterno, tra lo spazio sacro e il paesaggio. 

Dal punto di vista architettonico e simbolico, l’uscita verso il giardino rappresenta un passaggio fondamentale: un varco che collega la memoria custodita all’interno con la vita che si apre fuori.Dall’ingresso principale, chi desidera accedere al giardino può oggi utilizzare l’uscita esistente, valorizzata con un nuovo percorso esterno. Una gradinata, posta in asse con la facciata della ex chiesa, guida il visitatore verso il livello più basso, dove si apre un’ampia area di disimpegno: il nuovo sagrato. 

Non più solo un passaggio funzionale, ma un vero spazio d’incontro e contemplazione, in continuità ideale con la storia del luogo.Il giardino è stato sostanzialmente confermato nella sua configurazione, mantenendo quell’equilibrio tra ordine e naturalezza che da sempre lo contraddistingue. Tuttavia, l’intervento sul fronte ovest ha richiesto una riflessione più profonda. Il piccolo volume promiscuo adibito a deposito, privo di valore architettonico e dissonante rispetto al contesto, è stato completamente demolito. La sua rimozione ha aperto la possibilità di ridisegnare con coerenza l’intero affaccio ovest.

Il nuovo sagrato, insieme alla muratura di contenimento che accompagna la scalea, costruisce un segno unitario e contemporaneo che completa e valorizza la facciata. Questo intervento non ha la pretesa di mimetizzarsi, ma intende porsi in continuità rispettosa, riconoscibile ma non invasiva, con il linguaggio architettonico dell’edificio sacro. Per rafforzare questo legame tra passato e presente, è stato scelto di caratterizzare il nuovo sagrato con un impasto di calcestruzzo ottenuto anche dal recupero di inerti derivanti dalla demolizione di alcune murature ottocentesche. Una scelta di sostenibilità materiale e culturale: ciò che era frammento diventa fondamento. I pavimenti esterni, realizzati in cemento spazzolato, restituiscono una superficie resistente ma morbida alla vista, in dialogo con la sobrietà materica dell’edificio.E’ stata ricostruita in questo modo quella soglia urbana e simbolica, dove il sacro e il quotidiano si incontrano. Un luogo aperto, dove fermarsi, guardare, ricordare. 

Primo piano 

Salendo al primo piano, ci si immerge nel cuore pulsante della nuova vita dell’ex chiesa: la grande navata accoglie ora il ristorante, esteso anche in parte del corpo attiguo. Un luogo pensato non solo per la ristorazione, ma anche per banchetti, incontri e momenti di condivisione culturale, in linea con le attività della Cooperativa. 

La spazialità dell’antica chiesa è stata recuperata con le sue proporzioni solenni, rimane protagonista. Così, le partiture murarie tardoottoecentesche sono state rimosse per restituire un unico grande ambiente, scandito dai pilastri e dalle volte ottocentesche, oggi ripulite e ridipinte con attenzione. Sulle pareti, l’intonaco originale—seppur segnato dal tempo—è tornato visibile, a testimonianza della materia storica dell’edificio. 

La scala principale è stata interamente riprogettata, con linee leggere e materiali contemporanei, per accompagnare con coerenza l’ascesa agli spazi superiori. Insieme all’ascensore posizionato nel nuovo percorso tra cappelle e monastero, rappresenta oggi il principale accesso a questa grande sala, cuore conviviale e culturale del progetto. 

Sul fondo, nello spazio absidale sopra la cucina, è stato realizzato un nuovo piano di lavoro, un laboratorio tecnico ma discretamente inserito, pensato per supportare l’attività ristorativa in modo efficiente, senza sottrarre dignità allo spazio architettonico. Le nuove pavimentazioni sono di tipo “monolitico” e lievi variazioni materiche e cromatiche, caratterizzano i vari ambienti ai diversi livelli. Un semplice calcestruzzo cromatizzato e levigato caratterizza il piano terra, il piano primo la medesima pavimentazione è stata realizzata con l’aggiunta di coccio pesto. 

Allo stesso livello una nuova sala per la ristorazione è caratterizzata nel pavimento e nel controsoffitto metallico, dal colore nero che identifica tutti gli spazi storicamente aggiunti al volume della chiesa. 

Secondo piano 

Il secondo piano assume invece un carattere più culturale e contemplativo. Qui la navata, liberata dalle recenti superfetazioni in cartongesso, torna a mostrare la sua struttura originaria. Gli arredi sono minimi e flessibili, pensati per ospitare eventi, incontri e attività pubbliche. La grande volta affrescata da Salvatore Bianchi domina lo spazio: l’abbiamo riportata alla luce con un restauro attento, restituendole il ruolo centrale che merita. 

Nel volume absidale, uno degli interventi più significativi è il “cannocchiale-passerella”, un elemento sospeso che attraversa lo spazio con leggerezza, mettendo in relazione visiva l’interno della chiesa con il paesaggio urbano della Città Alta. 

È una soglia sospesa, un punto d’osservazione e contemplazione, realizzato in ferro e lastre preforate secondo un disegno essenziale, come tutto il nostro lessico progettuale. Una piccola libreria circolare completa lo spazio dell’abside, arricchendolo di nuove possibilità d’uso. 

A nord, abbiamo demolito una vecchia superfetazione tardo ottocentesca. Al suo posto, la copertura del corpo addossato diventa oggi una terrazza panoramica: uno spazio all’aperto che guarda la città vecchia, la Maresana e il Canto Alto, pensato per eventi serali e momenti di sosta. Questo intervento ha consentito anche di restituire piena visibilità al fronte nord della ex chiesa, riportando alla luce le murature originarie, le tre paraste inchiavardate e le grandi aperture oggi riaperte. 

Il progetto ai piani superiori ha seguito la stessa filosofia che ha guidato ogni scelta: restituire unità, luce e respiro a spazi frammentati, facendo dialogare passato e presente. L’intervento non impone, ma accompagna. Non imita, ma ascolta. L’architettura sacra, anche nella sua riconversione, diventa prima di tutto un gesto di cura. 


I progettisti: arch. Angelo Colleoni, arch. Melania Licini, arch. Paolo Belloni. 

SCHEDA TECNICA

Progetto Architettonico: Angelo Colleoni, Melania Licini, Paolo Belloni 

Committente: Cooperativa Città Alta 

Impresa esecutrice: Cividini Ingeco 

Foto: PBeB Architetti 


Biografia

Paolo Belloni. Architetto-fondatore di PBeB Architetti e Next-City-Lab. Dopo molteplici esperienze di formazione in ambito internazionale apre il proprio studio nella sua città di origine. Vincitore di numerosi concorsi e premi la sua ricerca progettuale si concentra sul rapporto tra edificio e contesto con una particolare attenzione alle potenzialità espressive dei materiali e all’importanza del dettaglio. Ostile al concetto di specializzazione il suo lavoro spazia dalla scala della pianificazione e del paesaggio alla scala dell’edificio fino a quella dell’oggetto di design e di arredo. Professore invitato sia in Italia che all’estero é animatore e coordinatore di numerose iniziative di promozione culturale. 

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